venerdì 3 maggio 2013

La tradizione contadina che unisce


Un brano scritto da Raffaele Loffa, ex Sindaco di Carife.
La tradizione contadina che unisce


Nel corso dell’anno, di buon mattino, potevi assistere ogni giorno ad una scena veramente simpatica: preceduta da un ritmico e cadenzato scalpitìo di zoccoli ferrati sul selciato delle vie cittadine un asino, con il padrone già a cavallo,  si avviava verso la campagna percorrendo una strada che conosceva ormai a memoria, tanto che si poteva dire che non era il contadino a guidare “la vettura con il pelo” verso il duro lavoro di una nuova giornata, ma era proprio la povera bestia a guidare l’allegra compagnia.
Del curioso corteo facevano parte,  quasi sempre, una riluttante capra che, legata con una fune (“la zoca”) al basto (“la varda”), si lasciava trascinare seguita da una pecora quasi rassegnata. Pecora e capra belavano il proprio disappunto, perché avevano lasciato a casa i loro piccoli, che avrebbero rivisto e allattato solo a sera.
 La maleodorante compagnia era arricchita dalla presenza di un allegro e impertinente cagnolino “da pagliaio”, che abbaiava la sua gioia zigzagando davanti a tutti a destra e a sinistra; se incontrava qualche ringhioso cane più grande aveva paura, metteva la coda tra le gambe e si rifugiava al sicuro tra le zampe dell’asino o del mulo. L’allegra brigata era chiusa quasi sempre da una donna che, portando in equilibrio sulla testa una cesta (“ la cosc’na”), con le mani sui fianchi, seguiva quasi in disparte.
Spesso, invece della cesta, le donne portavano sulla testa la culla con dentro il bambino piccolo: tra una poppata e l’altra avrebbe sgambettato tutto il giorno nella sua “cunnula” (dal latino “cunulae” ), sistemata all’ombra di un albero, con il rischio di vedere aggirarsi nei paraggi un serpente, attratto dall’odore del latte, che il piccolo portava con sé.
Dal zinale di lei (“lu sunual’”), tenuto allacciato in vita da una striscia di stoffa, pendeva la lunga e pesante chiave di casa.
 A sera quasi inoltrata la stessa scena si ripeteva…al contrario.
Ad andare a cavallo era il più delle volte il poco “cavaliere” e solitamente più acciaccato ed affaticato uomo: alla donna era consentito aggrapparsi alla coda dell’animale e farsi trascinare lungo le salite più ripide, che conducevano verso Carife.
In alcuni momenti dell’anno, specialmente durante la trebbiatura e la raccolta delle olive, il “traffico” di animali e persone era molto più intenso e spesso le “fontane abbeveratoio” dell’Addolorata, delle Fontanelle, dei Fossi, del Giuliano si  riempivano e si intasavano di animali in attesa di dissetarsi.
Il segno che in casa si produceva il formaggio veniva dato dalla presenze delle fiscelle di giunco (“fascedd’”) e, soprattutto, dal “casiere”, una sorta di trabiccolo incannucciato appeso al soffitto, lontano da gatti e topi. Su di esso venivano disposte ad asciugare in bell’ordine profumate pezze di formaggio e di cacio ricotta (“masciottole”). Accanto c’era sempre il maleodorante “quaglio”, uno stomaco di capretto nel quale fermentava il latte spesso rabboccato.
Ricordo che noi bambini aspettavano ansiosi la cagliata, perché potevamo mangiare il “siero” tutti insieme in una grossa zuppiera, nella quale, oltre ai pezzi di pane, era possibile “pescare” o catturare a gara qualche saporitissimo pezzetto di formaggio, che nostra madre, magari volutamente, si era lasciato sfuggire: davvero una squisitezza. Ma forse, oltre alla bontà di ciò che mangiavamo, era proprio la fame a far sembrare tutto più saporito, altro che Kinder fetta latte… e merendine varie, omogeneizzati e biscottini Plasmon…
Certo oggi è diventato tutto maledettamente complicato e molti, a incominciare da me, vorrebbero vivere in altro mondo, in un altro tempo, in un altro luogo, magari in un altro corpo, che ci costringe spesso a lunghe attese nei laboratori di analisi, nelle anticamere degli specialisti, a imbottirci di pillole e pasticche, secondo orari scanditi dal suono del promemoria di un telefonino…
Tutto questo a qualcuno potrebbe apparire retorico, decadente, patetico, prosaico ma così è e bisogna farsi coraggio e andare avanti, senza vigliaccherie…e senza facili catastrofismi.
Non avendo ancora nipoti racconto la mia storia, che è in fondo la stessa per molti altri tra di voi, ai figli e ai nipoti dei miei amici e di quanti hanno vissuto quel mondo, nemmeno tanto lontano…
La vita è bella e merita di essere vissuta, anche quando sembra che non ti trovi più a tuo agio e vengono meno i punti fondamentali di riferimento. Te ne accorgi quando vai al cimitero nuovo o a quello vecchio: centinaia di volti noti fin dall’infanzia ti osservano dalle loro lapidi e sembrano dirti: “Prenditela comoda quanto vuoi, ma sappi che qui tutti noi ti stiamo aspettando…”

1 commento:

  1. ZIO ANDREA TE LO SCRIVO IN INGLESE YOU ARE THE BEST ONLY YOU COULD HAVE PULLED THIS OFF IT TOOK A WHILE BUT YOU DID IT IM PROUD TO CALL YOU UNCLE MY MOM TELLS ME ALL THE TIME WHEN I WAS A LITTLE KID MAKING NOISE A. VIA SAN GAETANO I NEVER LET YOU SLEEP HAHAHA I WAS A WILD KID SHE COULDNT HANDLE ME MY FATHER WAS NEVER THERE========I JUST WANT TO CONGRATULATE YOU ON YOUR BOOK OF MY LITTLE TOWN THAT I STILL LOVE I WISH I NEVER LEFT==BUT THATS LIFE YOUR NEPHEW ROCCO

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